A cura di Marco Ghironi – allievo del Corso per Addetto Stampa Sportivo di Sport Business Academy.
La vittoria a Euro 2020 apre due strade possibili al calcio italiano: la palla ora passa alla Figc per costruire un ciclo vincente.
La vittoria di una manifestazione importante come il campionato europeo può storicamente essere determinata da diversi lavori svolti sul movimento sportivo di riferimento. Può essere l’effetto di una programmazione realizzata con investimenti sul capitale finanziario e umano da parte delle singole federazioni; oppure, può essere il risultato di un progetto tecnico su cui costruire una nuova generazione.
Il trionfo degli azzurri a Euro 2020 è probabilmente il frutto di questa seconda opzione. Mancini ereditò infatti una squadra emotivamente distrutta dopo due anni di gestione disastrosa, tanto dal punto di vista tecnico che amministrativo, e ha ricostruito senza stravolgere la rosa della squadra estromessa da Russia 2018. Il ct ha infatti aggiunto alcuni giovani prospetti esplosi nel corso delle ultime stagioni all’ossatura base della squadra, arroccata attorno a uomini come Donnarumma e Chiellini, Bonucci e Jorginho, Florenzi e Insigne, e ancora Immobile, Belotti e Bernardeschi; un gruppo che già figurava in distinta nel naufragio contro la Svezia. In questo modo, Mancini è riuscito a restituire dignità al gruppo tanto che una delle squadre più fallimentari della storia del calcio azzurro è diventata una fra quelle meglio assemblate di sempre.
Ma la vera differenza l’hanno fatta il gioco e l’atteggiamento espresso in campo. Mancini ha infatti adottato un progetto tattico diverso dal passato, votato al possesso palla e alla verticalizzazione, inserendo i giocatori più funzionali a questo mutamento di filosofia: Barella, Locatelli, Chiesa e Spinazzola sono le novità più significative che hanno permesso agli azzurri di cambiare il proprio volto, ma senza mai operare una vera e propria rivoluzione.
A ben vedere, il trionfo europeo degli azzurri è germogliato in maniera opposta rispetto all’epopea della Spagna del Triplete: fin dai primi anni Duemila, la Federcalcio iberica lanciò un progetto di valorizzazione dei vivai che portò a raccoglierne i frutti dal 2008 in avanti. La vittoria dell’Italia, semmai, somiglia molto di più al Portogallo del 2016: vincente con una squadra apparentemente acerba ma di certo coriacea, in grado poi di far attecchire il gruppo innestando, nei cinque anni successivi, quei giocatori di indubbia qualità che assicurassero alla nazionale un futuro che andasse al di là di Cristiano Ronaldo. Solo per fare qualche nome, i frutti dell’ultima infornata si chiamano Joao Felix e Andrè Silva, un riscoperto Bruno Fernandes, il talentuoso Diogo Jota. Giocatori che militano in top club europei di prima fascia, che vantano nel proprio curriculum successi internazionali e un buon bagaglio di esperienza a livello di Champions League ed Europa League.
Ecco, dunque, quello che dovrebbe diventare l’obiettivo della nostra Federcalcio: aiutare i club a plasmare, fin dai settori giovanili, ragazzi di talento che possano ritagliarsi uno spazio di rilievo in ambito internazionale. Perché se il Mondiale 2006 è stato il punto di arrivo della Golden Age italiana, il trionfo sotto l’arco di Wembley deve trasformarsi nella molla per farci ripartire.
L’Italia si scopre campione nell’anno del disastro europeo
Nessun club oltre gli Ottavi di Champions, la Roma massacrata dallo United. Ma all’Europeo è uscita la qualità del gruppo.
La Nazionale italiana di calcio si è laureata Campione d’Europa al termine di una delle stagioni peggiori vissute a livello di club. L’Inter fresca di scudetto eliminata fin dai gironi di Champions League; la Juventus fuori agli ottavi contro il Porto, proprio come l’Atalanta contro il Real Madrid e la Lazio contro il Bayern Monaco. In Europa League, invece, si è registrato il flop del Napoli mentre non ha chiuso bene neppure la Roma che, nonostante la semifinale raggiunta, è stata demolita dal Manchester United. Un annus horribilis che, alla luce dei fatti, si incastra alla perfezione con il rendimento della Nazionale. Anzitutto, il dislivello economico viene azzerato nelle competizioni per nazionali visto che – a parte pochissimi casi, vedi Laporte che “passa” alla Spagna pur essendo francese – i giocatori non si “comprano”. Quello che è un gigantesco ostacolo per i club italiani, frenati dal ridimensionamento del nostro calcio (vedi il caso Donnarumma) diventa un fattore irrilevante a livello di nazionali. In secondo luogo, non va dimenticato che l’Italia ha ritrovato fiducia e confidenza disputando le prime tre partite in casa, di fronte al pubblico che per l’occasione tornava sugli spalti. Senza la spinta giunta da un ambiente “amico” forse non ci sarebbero state le notti magiche di Londra e di Monaco di Baviera. In ultima analisi, il fatto di essere stati eliminati anzitempo dalle ultime competizioni internazionali ha permesso ai giocatori di presentarsi più “freschi” ad Euro 2020 proprio perché con meno partite sulle gambe rispetto agli avversari. Certo, le ultime due stagioni sono state anomale un po’ ovunque, ma una super favorita come la Germania si è presentata all’Europeo piuttosto scarica con il blocco Bayern fisicamente fuori condizione. Caso particolare quello degli inglesi: tre squadre a giocarsi le finali di Champions League ed Europa League, eppure un Europeo conclusosi in finale. Ma in questo caso, a fare la differenza, è stato il cambio di paradigma imposto da Southgate: non più gioco a tutto campo, quello che si pratica tutto l’anno in Premier League e che a giugno fatalmente pesa sulle gambe dei giocatori, ma schemi tattici più accorti, puntando sulle ripartenze e sull’estro dei singoli. E gli azzurri? Sono arrivati in condizioni ottimali, tanto da non pagare la metamorfosi imposta dagli infortuni non imputabili all’affaticamento del campionato, da Florenzi a Chiellini, da Verratti e Sensi e Spinazzola. Fattori che, in un torneo così breve e concentrato, hanno fatto la differenza.
Gli occhi sul mondiale: l’Italia di Mancini pronta all’assalto
Tra 495 giorni partirà il Mondiale in Qatar e l’Italia partirà tra le favorite: e questo, storicamente, rischia di essere già un ostacolo
La distanza tra Mondiale ed Europeo non è mai stata così ridotta. Tra circa un anno e mezzo incomincerà il torneo in Qatar e l’Italia, fresca di trionfo a Euro 2020, ha scalato le gerarchie diventando in automatico una delle favorite. I tifosi sognano già la storica doppietta e proprio la distanza ravvicinata tra i due tornei potrebbe configurarsi come un potenziale vantaggio per gli azzurri. Le qualificazioni al Mondiale non sono ancora terminate e sebbene il sorteggio non abbia inserito l’Italia in un girone complicato – l’unica avversaria temibile è la Svizzera già domata a giugno – ci sarà l’occasione per affinare ancora di più l’intesa del gruppo vincente a Wembley. Prima di volare in Qatar, in autunno Mancini tenterà il colpaccio in Nations League: la fase finale si disputerà tra Torino e Milano, e il fatto di giocare in casa rappresenta una spinta in più verso la vittoria finale. La prima edizione della Nations League è stata vinta dal Portogallo che, proprio un anno prima, aveva trionfato nell’Europeo francese.
In più, non bisogna dimenticare che l’Italia ha altri talenti da inserire nel gruppo in vista dei futuri appuntamenti: ad Euro 2020 non ha preso parte Nicolò Zaniolo, ormai recuperato e già a pieno regime nello scacchiere di Mourinho alla Roma. Uno dei grandi esclusi di Mancini è invece stato Moise Kean: una prima punta della sua qualità potrebbe tornare estremamente utile al canovaccio tattico della squadra campione d’Europa. Rispetto alle ultime spedizioni azzurre al Mondiale, quella che verrà è sicuramente la più programmata: si intravede una filosofia di gioco, un percorso di crescita, un obiettivo che va anche al di là della vittoria finale. Mancini ha infatti saputo allestire un gruppo omogeneo di giocatori, rischiando le rotazioni e ribaltando a gara in corso la formazione iniziale.
Il cambio di paradigma di cui si è resa protagonista la sua squadra è ciò che la Federcalcio auspica per tutto il movimento italiano: la Nazionale vuole fare da traino per tutto il nostro calcio per proporre un calcio più propositivo, più “internazionale”, facendo in modo che i giocatori che si radunano a Coverciano possano parlare la stessa “lingua calcistica” ogni volta che vengono chiamati in causa. Una strada che la Federcalcio ha intrapreso ancor prima di Euro 2020 con il rinnovo del commissario tecnico fino al 2026, l’anno dei Mondiali in Canada, Messico e Stati Uniti. In mezzo ci saranno un altro Europeo e il Mondiale qatariota, dove la Nazionale è chiamata quantomeno a qualificarsi alla fase ad eliminazione diretta dalla quale manca dal 2006. Quella volta fu vittoria, stavolta il popolo azzurro chiede di giocarsela davvero come una big, con la consapevolezza di poter alzare la voce pur sedendo al tavolo delle grandi.