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I CORSI

Federazione Italiana Rugby: l’intervista al Media Manager Antonio Pellegrino

2 Aprile, 2020

Il Rugby, si sa, è uno sport affascinante che, soprattutto negli ultimi 10 anni, è salito alla ribalta, facendo proseliti tra quanti, stregati dalla palla ovale, si sono avvicinati a questa attività che è tutt’altro che forza bruta e “violenza”, così come in un passato troppo ottuso si voleva far credere.
Il Rugby, infatti, è lo sport che più unisce; la mischia è il momento che costringe a un lunghissimo abbraccio gli atleti e ogni partita è un’occasione per festeggiare insieme, per inneggiare ai veri valori dello sport, a uno spirito di squadra che ti entra nell’animo e ti lascia il segno.

È lo sport che unisce testa, corpo, cuore e, in un momento come questo, in cui ad essere colpite dal Covid-19 sono proprio le regioni in cui si pratica maggiormente, dal mondo del Rugby arriva non solo l’invito a non mollare, a restare a casa, a restare uniti, a tenere duro, ma anche l’abbraccio virtuale di tutti i campioni, con un invito a ritrovarci, sul campo e sugli spalti al più presto e più forti e più “fraterni” di prima.

Prosegue, in questo senso, l’attività di responsabilità sociale di alcuni giocatori, attualmente molto attivi con un loro personale sostegno all’emergenza COVID-19.

Abbiamo incontrato per Sport Business Academy, Antonio Pellegrino, Media Manager della Federugby ed è proprio con lui, che è il professionista più vicino alla squadra, e ne racconta e comunica le gesta e le imprese, che è nata una piacevole chiacchierata sulla sua attività.

Come è far parte di questo grande team?
Da sempre ho avuto la passione per lo sport e per il giornalismo. Sin dalle scuole medie ho coltivato la passione per la scrittura collaborando al “giornalino scolastico”, attività continuata poi al Geometra e  consolidatasi nel tempo fino al raggiungimento del tesserino da giornalista pubblicista. Dopo la laurea ho svolto un master in marketing e comunicazione sportiva presso la Business School de Il Sole 24 Ore e, al termine del master, è iniziata la mia avventura in FIR da stagista prima, collaboratore poi,  fino ad arrivare al ruolo che ricopro oggi e che riporta ad Andrea Cimbrico – responsabile dell’Area Comunicazione FIR e Media Manager della Nazionale, prima di me – che mi ha supportato nel percorso di crescita professionale.

Entriamo con Antonio nel dettaglio della sua professione e gli chiediamo come si diventa media manager nel settore sportivo e quali sono i requisiti da avere per chi vuole intraprendere questa carriera.

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Sicuramente uno dei requisiti è la passione per il mondo dello sport e per la scrittura – ci racconta. Bisogna essere anche molto intraprendenti, non arrendersi mai, dimostrarsi sempre proattivi e alla ricerca di nuove idee da sviluppare, bisogna avere propensione all’ascolto e al lavoro di gruppo. E’ un lavoro che ti tiene attivo tutti i giorni ed è importante essere sempre pronti e reattivi per dare il proprio contributo. Ho avuto anche la fortuna di far parte di un team e di una struttura che sin dal primo giorno mi ha messo nelle condizioni di lavorare bene e di imparare, facendomi sentire parte integrante della squadra sin dal primo giorno.

Raccontare uno sport come il Rugby, un club e una squadra attraverso i media. Un’impresa grande… ma da dove si comincia?
Non c’è un punto di partenza generico, a mio avviso. A seconda di ciò che si racconta, ci sono determinati step. Il primo è sicuramente il brainstorming, ma questo credo valga per qualsiasi realtà, sportiva e non, che operi nell’ambito della comunicazione. I confronto tra più persone facilita la creazione successiva di materiali e può fornire spunti interessanti per lo sviluppo di progetti futuri. A cascata, dopo aver definito le linee di racconto del progetto in esame, vengono fuori le altre operatività che fanno capo a persone diverse: c’è chi raccoglie i contenuti, chi li va ad assemblare in un video/contenuto, chi li condivide sui social e chi li pubblica sul sito e o li inserisce in una newsletter. Siamo una squadra rodata, che nel tempo ha affinato i meccanismi di raccolta e racconto dei contenuti, e cerchiamo costantemente di alzare il livello della qualità.

Il calcio e il Rugby nella comunicazione in cosa differiscono?

Non vedo approcci o metodologie diverse tra rugby, calcio e/o altri sport. La base credo sia uguale per tutti. Cambia naturalmente la declinazione in base alla storia da raccontare.

Qual è la cosa che più ti affascina ed entusiasma di questo lavoro e qual è l’aspetto più difficile?

Potrebbe sembrare banale come prima risposta, ma la cosa che mi entusiasma è proprio il mio lavoro. Ho la fortuna di fare una professione che ho sempre voluto fare. La parte più bella è quella legata alle finestre internazionali della Nazionale Italiana Rugby: il raduno, riabbracciare staff e giocatori che non vedi da tempo e vivere insieme a loro tutte le emozioni che ti avvicinano alla partita. Potersi confrontare con colleghi di altre realtà, incrementare le proprie conoscenze e imparare cose nuove da poi poter riversare nel mondo rugbistico, eventualmente (il minimo risultato, non da poco, è quello di incrementare il proprio bagaglio culturale). E fare il tutto con la maglia dell’Italia… ti da quel qualcosa in più che non sono in grado di spiegare ma che potrei riassumere banalmente con l’emoj di un sorriso.

antonio pellegrino intervista sport business academy al media manager fir rugby

L’aspetto più difficile, che si è consolidato nel tempo ma che merita sempre tanta attenzione, è forse quello legato al multi-tasking: cercare di far funzionare al meglio (non bene, sottolineo… al meglio! Non bisogna accontentarsi) tutte le operatività che ruotano attorno alla comunicazione della Nazionale e alla gestione delle varie attività. È importante, oltre alla precisione, essere un punto di riferimento costante per le persone che ti circondano. Il “non lo so” non è contemplata come risposta (su questo ammetto di essere un pochino pignolo). Non è necessario essere onniscienti, ma sapere individuare le persone che possono rispondere al quesito ricevuto – nel caso non fossi io la persona idonea a farlo – è altresì importante.

Qual è il messaggio che, come Federazione, state veicolando in questo particolare momento, oltre allo stare a casa?

Abbiamo ovviamente supportato la campagna di comunicazione #distantimauniti voluta dal Ministero dello Sport, ma anche in considerazione della percezione fortemente etica del nostro sport e in coerenza con i valori fondanti della FIR, abbiamo lavorato e stiamo lavorando per consolidare positivamente la scelta di sospendere l’intera stagione 2019/20 a fronte della situazione corrente. Sempre in relazione al momento storico che stiamo vivendo, siamo attivi per valorizzare le iniziative di responsabilità sociale che vedono protagonisti i nostri tesserati, di ogni livello…è una via che abbiamo scelto per rafforzare la linea di comunicazione istituzionale.

Il personaggio, lo sport o la squadra di cui ti piacerebbe un giorno raccontare vita e imprese?

Sono un romantico dello sport. Potessi tornare indietro avrei voluto lavorare o essere a contatto con icone come Schumacher, Jordan, Roberto Baggio, Paolo Maldini.

Qual è la grande bellezza dello sport del Rugby e perchè, secondo te, sta avendo così tanto successo oggi?

Quando sei a casa, durante un evento sportivo, puoi guardare la partita, bere una birra insieme agli amici, stare insieme alla tua famiglia, allattare anche il/la tuo/a bambino/a eventualmente. Tutti scenari visti anche allo Stadio Olimpico durante le partite della Nazionale Italiana Rugby. È come sentirsi a casa, o comunque in un contesto in cui ci si sente a proprio agio. E, per il mio punto di vista, al di là della giustissima rivalità sportiva che c’è sul campo, il luogo in cui si svolge un evento sportivo dovrebbe sempre essere un posto in cui ognuno si sente a proprio agio.

Un libro da consigliare a tutti quelli che si avvicinano a questo sport?

“Niente teste di cazzo” (mi spiace… non posso inserire il bip!) di James Kerr che racconta l’universo degli All Blacks. Ti fa capire come il talento non basta, ma c’è bisogno di una forte componente mentale e caratteriale per il completamento a 360 gradi del rugbista, in questo caso, ma è un principio declinabile per tutti gli sport.

Il post che ha avuto più successo?

Internet regala perle in continuazione. Talvolta anche in negativo, ma tendo a vedere il lato positivo. Ce ne sono tanti di successi, a mio avviso, e tantissimi che mi piacciono. Restando tra le mura del Rugby posso citare uno degli ultimi post di Maxime Mbandà, terza linea delle Zebre e della Nazionale Italiana Rugby, vittima di insulti razzisti. Nel post è riuscito a racchiudere tutte le sue emozioni e a far capire, se ancora ce ne fosse bisogno nel 2020, le problematiche legate a un atteggiamento che, al giorno d’oggi, non dovrebbe più esistere.

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