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I CORSI

Il declino del calcio italiano a livello europeo

21 Giugno, 2021

A cura di Giuseppe Alberti – Allievo del Corso per Addetto Stampa Sportivo di Sport Business Academy

Si sono concluse da pochi giorni le finali di Champions League e di Europa League. Finali che hanno visto il dominio di due nazioni su tutte le altre: l’Inghilterra di Chelsea, Manchester City e Manchester United, e la Spagna rappresentata dal Villarreal. E non sono mancate le sorprese, a partire dal Villarreal di Emery – vero e proprio maestro della competizione, con 4 successi – che ha sorpreso il più quotato Manchester United in una finale ricca di emozioni e conclusasi soltanto ai calci di rigore. La finale di Champions League, invece, ha incoronato il Chelsea di Tuchel, che ha battuto il Manchester City grazie alla rete di Havertz. E l’Italia? Anche quest’anno, le squadre italiane hanno terminato il loro percorso europeo con largo anticipo. Ma perché le nostre squadre, pur schierando campioni di grido, non riescono mai a fare il salto di qualità per imporsi anche in Europa? Proviamo ad analizzare la situazione.

Il lato economico

Parlare di fattore economico in uno sport come quello del calcio è sempre un argomento spinoso. Parlarne toglie il romanticismo a questo sport e a chi lo segue: andare allo stadio, comprare magliette e gadget della propria squadra, seguirla in trasferta, soffrire o gioire per essa. Dietro il calcio c’è un mondo fatto di soldi, tantissimi soldi, trasferimenti costosi, ingaggi stratosferici e ormai sono sempre le stesse squadre ad animare ogni estate i colpi del calciomercato. Il calcio ormai è in mano a investitori di paesi con un’economia solida – i tycoon americani, i rampanti cinesi o gli sceicchi del petrolio – che sono in grado di comprare i giocatori più forti a cifre pazzesche senza che le loro tasche abbiano dei contraccolpi. In Italia la concezione della società straniera sta prendendo piede. Nella massima categoria troviamo l’Inter cinese di Suning, la Roma del magnate americano Dan Friedkin o il Parma di proprietà di Kyle Kruse, anch’egli magnate americano e la Fiorentina dell’italo-americano Rocco Commisso. O ancora, la famiglia Platek che, dalla Virginia, controlla lo Spezia. Ma gli investitori stranieri hanno rivolto il loro interesse anche a realtà più circoscritte come il neopromosso in A Venezia, o ancora il Pisa, il Catania e il Padova. La pandemia da Covid ha aggravato la situazione economica anche a livello sportivo praticamente in tutto il mondo. Il divieto di andare allo stadio ha cancellato gli introiti da botteghino e mentre le società più grandi hanno saputo fronteggiare la crisi non senza conseguenze, le più piccole hanno fatto salti mortali per non fallire. Una situazione estremamente complicata che ha fatto ancor più venire a galla le differenze strutturali e societarie tra i vari paesi.

Le strutture

L’appassionato di calcio, viaggiando per l’Europa ha potuto visitare stadi bellissimi. Stadi super moderni, creati o ristrutturati nell’ultimo decennio in Germania, Inghilterra e Spagna, che sono all’avanguardia sul piano tecnologico e architettonico e che, soprattutto, sono di proprietà delle società calcistiche. Avere un tuo stadio rappresenta un bel vantaggio potenziale a livello economico: lo stadio pieno, il merchandising che s’impenna con i negozi del club presi d’assalto nel giorno della partita, i comfort degli spalti. E soprattutto “la vita quotidiana” che si crea intorno all’impianto anche quando non si gioca a calcio. Si tratta di complessi enormi che al loro interno contengono ristoranti con vista sul campo, tour organizzati alla scoperta dei segreti della struttura e il museo del club.

In Italia tutto ciò ancora si è visto molto poco. Ad anticipare i tempi è stata la Juventus che ha inaugurato il proprio stadio da 40mila posti nel 2011. Poi è toccato alla Dacia Arena dell’Udinese, al Mapei Stadium di Reggio Emilia che ospita le partite del Sassuolo, al Gewiss Stadium di Bergamo dove si esibisce l’Atalanta, mentre nel campionato cadetto il Frosinone gioca nel “suo” Benito Stirpe di Frosinone. Squadre importanti del nostro campionato come Inter, Milan, Roma, Lazio o Napoli giocano le proprie partite in stadi sempre ricchi di fascino ma poveri di servizi, mentre sono ancora al palo le trattative con le amministrazioni cittadine per progettare ristrutturazioni o nuove costruzioni.

Lo stesso discorso vale anche per i centri di allenamento che nel resto d’Europa sono molto più moderni rispetto ai nostri. Un esempio? Valdebebas, il quartier generale del Real Madrid che ha al suo interno 13 campi di allenamento, una palestra di pallacanestro, una residenza per ospitare la prima squadra di pallacanestro e calcio e le rispettive giovanili. Fino ad uno stadio vero e proprio, l’Alfredo Di Stefano da 5000 posti a sedere, che negli ultimi mesi ha ospitato le partite casalinghe dei blancos per consentire le opere di rinnovamento del Bernabeu.

Lo sviluppo dei giovani

Ad eccezione di Gianluigi Donnarumma, che esordì titolare nel Milan in campionato a 16 anni, negli ultimi anni i settori giovanili delle squadre di Serie A non si azzardano a lanciare in prima squadra i propri talenti. Nell’Europa che calcisticamente conta, invece, accade il contrario. Qualche nome? I freschissimi talenti del calcio inglese, Phil Foden e Mason Mount. O il francese Kylian Mbappè che ha solo 22 anni ma da molti è già considerato il più forte di tutti. In Spagna ha già i riflettori accesi addosso Ansu Fati che la stampa catalana definisce l’erede di Messi. Senza dimenticare Oscar Mingueza e Ilaix Moriba. E la Germania? Occhio a Youssoufa Moukoko, che è nato a fine 2004 ma ha già esordito in Bundesliga con la maglia del Borussia Dortmund, mentre il Bayern risponde con l’inglesino classe 2003 Jamal Musiala.

In Italia, invece, si tende a rischiare poco, investendo sui talenti stranieri piuttosto che dar fiducia a quelli nostrani. Vari fattori sono alla base di queste scelte, a partire dal lato economico, visto che spesso costa meno comprare uno straniero che allevarlo nel proprio vivaio. E poi la mancanza di strutture che permettano di valorizzare i nuovi talenti, mentre spesso incidono anche ambizione, disciplina del lavoro e spirito di sacrificio. Il risultato è che a farne le spese sono i numerosi giovani promettenti che giocano nei campionati minori e che, nonostante il potenziale, non riescono a trovare spazio nel calcio che conta.

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