A cura di Davide Di Giorno – allievo del Corso per Addetto Stampa Sportivo di Sport Business Academy
La pandemia se ne sta andando ma – oltre alle migliaia di morti – ha lasciato strascichi pesanti sotto molteplici aspetti. Le conseguenze economiche, anzitutto; ma anche le ripercussioni di carattere sociale e psicologico. In ambito sportivo, poi, questo è il momento della conta dei danni per quanto riguarda le società dilettantistiche che, a causa delle perdite ingenti, talvolta sono state costrette anche a chiudere i battenti.
Eppure, fra i contraccolpi da Covid non si parla mai del cuore pulsante del mondo del calcio, ossia il tifo organizzato. Nell’ultimo anno e mezzo, infatti, le curve si sono svuotate e adesso anche per la galassia ultras si tratta di cercare di riorganizzarsi per tornare a sostenere la propria fede. In casa e in trasferta, tra mille sacrifici. Ma come vivono le tifoserie più calde questo momento interlocutorio? La voglia di tornare è tanta ma c’è anche un sottile dubbio di quando si potrà finalmente tornare liberamente allo stadio. E poi, come sarà il ritorno? Sarà ancora più difficile abbracciarsi per un gol o rimanere attaccati spalla a spalla l’un l’altro in curva? Eppure, in questi mesi di silenzio e di calcio alla poltrona, la voglia di urlare più forte di prima la propria identità che per ogni tifoseria è cresciuta ancor più tanto da attestarsi come un valore importante.
Quel che è quasi scontato è che anche il pianeta ultras – proprio come tutto il resto di una società che vive una fase di metamorfosi – dovrà ritagliarsi una nuova identità. A partire da quell’urlo che è rimasto strozzato in gola per tutti questi mesi e che ha voglia di sprigionarsi per non sentirci soli quando si guarda una partita di calcio.
Negli anni il mondo ultras ha cambiato pelle e forma; ma la mentalità è rimasta tale a qualsiasi latitudine, quasi come fosse una fede o una religione. Perché alle spalle della vita di curva ci sono ragazzi che fanno sacrifici per seguire la propria squadra. Ma c’è anche un fortissimo orgoglio di appartenenza, quasi un amore incondizionato che si può riassumere come “la fede, sconfitta non vede”.
C’è da dire che una società senza ultras è come un teatro senza spettatori, il calcio senza il tifo organizzato è come se fosse orfano della propria anima, della propria essenza. Perché non dobbiamo mai dimenticare che, sin da bambini, tutti noi abbiamo sognato di giocare in uno stadio pieno, ancor più che indossare la maglia di un top club.
Resta l’amarezza per un tema troppo spesso viene accantonato, fino alla beffa di chi preferisce sottolineare il piacere di ascoltare le urla dei giocatori piuttosto che rilevare il silenzio dello stadio. Perché in fondo, la vera melodia del calcio è quella che soltanto una curva piena di tifosi innamorati sa trasmettere. Alla faccia del calcio pantofolaio, da poltrona, che si è originato nel periodo della pandemia. Un calcio freddo e asettico, senza passioni né cori. E allora lunga vita agli ultras.