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I CORSI

La Storia di Jimmy Butler: da senzatetto ad All-Star dell’NBA

June 11, 2021

a cura di Daniele Bisanti – allievo del Corso per Addetto Stampa Sportivo di Sport Business Academy

Potrebbe diventare la sceneggiatura di un film di Spike Lee, la vita di Jimmy Butler. Nato il 14 settembre 1989 a Houston, quartiere di Tomball, la strada del piccolo Jimmy non è mai stata agevole. Abbandonato dal padre ancor prima della nascita, a 13 anni gli volta le spalle anche la madre Londa che lo caccia di casa a causa del suo comportamento da bullo. E’ il marzo 2002, Jimmy si ritrova senza un tetto in uno dei sobborghi più malfamati di Houston: per quattro anni si arrabatta come può, dormendo in casa di qualche amico o sotto un ponte. Intanto, però, si concentra sullo sport: prima il football, poi il basket riuscendo, a 17 anni, a giocare e studiare nella Tomball High School. Ma il suo talento fatica ad emergere ed è soltanto nel Senior year che Jimmy dimostra cosa sa fare. Poi, al termine di una partita di Summer League, un ragazzino del primo anno lo punta e lo sfida in una gara da tre. Il suo sfidante si chiama Jordan Leslie e con il tempo diventerà anche il suo migliore amico. Jordan era uno dei sette figli di Michelle Lambert che, venendo a conoscenza delle difficili condizioni in cui vive Jimmy, decide di aggiungere un ottavo figlio alla sua numerosa famiglia. A patto, però, che il piccolo Butler accetti di rispettare poche regole ma precise: buoni voti a scuola, qualche lavoretto in casa, evitare di cacciarsi nei guai, rientrare entro determinati orari e diventare un esempio per i fratelli più piccoli. Jimmy non esita neppure un secondo ad accettare le condizioni di chi gli stava salvando la vita.

Da quel momento, Michelle si dedica a Jimmy come una vera madre e quell’affetto sincero sarà fondamentale nella sua esplosione cestistica. Infatti, termina l’ultima stagione alla High School con una media di 19.9 punti e 8.7 rimbalzi, Mvp della squadra. I grandi college, però, non lo prendono in considerazione e Butler accetta l’unica università che lo sceglie, il Tyler Junior College, vicino a casa sua. Jimmy viene considerato una scelta a due stelle e classificato al 127° posto nel ranking dei prospetti per il college; eppure la sua stagione è strepitosa, tanto da attirare le attenzioni delle più grandi università del paese. La scelta ricade su Marquette, consigliato dalla madre per l’alto valore accademico che gli avrebbe permesso di raggiungere una laurea prestigiosa e di avere un piano B nella vita. L’adattamento però non è facile, la concorrenza è spietata e Jimmy chiude il primo anno con appena 5 punti di media in uscita dalla panchina. Con l’aggiunta del trattamento “speciale” da parte di coach Brent Williams che, più tardi, spiegherà di non essere mai stato così duro con un giocatore per far capire a Jimmy quanto potesse diventare forte.

L’anno successivo la musica cambia: Butler parte in quintetto e sorprende per la freddezza con cui riesce a gestire i momenti topici delle partite. E così, al termine del Senior year, è considerato uno dei giovani più interessanti tanto da catturare le prime attenzioni di scout Nba. Nel 2011, arriva il momento del grande salto, anche se la concorrenza per accedere fra i pro è spropositata. L’occasione d’oro è offerta da un piccolo torneo a Portsmouth utile soprattutto per i giovani prospetti a caccia di visibilità: Jimmy non se la lascia scappare e le eccellenti prestazioni gli permettono di ottenere il premio come miglior giocatore della manifestazione. A quel punto la strada per l’Nba è tracciata e la notte del draft Jimmy si trova a casa con la madre e i sette fratelli quando il commissioner David Stern annuncia che i Chicago Bulls, una delle squadre più titolate di sempre, scelgono proprio Butler alla 30ª posizione assoluta.

Strada in discesa? Affatto, visto che anche da giocatore dell’Nba c’è da lavorare sodo per guadagnarsi la fiducia dell’allenatore. Nel primo anno da pro gioca 8 minuti a partita che lievitano l’anno successivo: Rose e Deng sono a lungo ko per infortunio e Butler ha la chance per dimostrare di essere un difensore dinamico e un buon finalizzatore. Chiude con 20 punti di media e diventa la prima scelta offensiva per coach Thibodeau tanto da venir votato per l’All-Star Game cui deve rinunciare causa infortunio al ginocchio. Dopo sei anni, a sorpresa, si chiude l’esperienza a Chicago che lo cede a Minnesota, in cambio di Zach Lavine, Kris Dunne e la settima scelta al draft. A Jimmy, per ribaltare i Timberwolves, basta un anno e mezzo: riporta la squadra ai playoff e litiga un po’ con tutti, tanto da meritarsi l’etichetta di talento difficile, un po’ bullo e un po’ prima donna, incapace di far gruppo nello spogliatoio. Altri 18 mesi e altro cambio di maglia: stavolta Jimmy vola a Philadelphia dove viene accolto come una star. Butler parte bene ma finisce male visto che i sogni di gloria dei Sixers si infrangono con la tripla di Leonard allo scadere di gara-7. E allora avanti con il nuovo capitolo, a Miami per riportare il titolo in Florida. Ci va vicino al primo tentativo, ma i Lakers di Lebron James e Davis sono troppo anche per lui. La sfida però è lanciata e il ragazzino di Tomball non ha alcuna voglia di fermarsi sul più bello.

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